NAPOLI E I SUOI CAPOLAVORI IN CUCINA

Presentare a Napoli un libro che racconta “Storie di cucina” è qualcosa di unico e favoloso. A me è capitato. Il calore dell'accoglienza è unico, la sensazione che l'amicizia sia ancora e sempre un valore assoluto ti riscalda il cuore. Ma ciò che più conta è constatare il legame profondo esistente tra la cultura di questa magnifica città e le sue tradizioni legate al cibo, all'alimentazione, alla gastronomia.

mis05-638x425Ho scritto tante storie di piatti celebri, di ingredienti famosi, di preparazioni rinomate, ma non so perché non mi siano venuti in mente tanti episodi connessi ad esperienze gastronomiche legate a Napoli e ai napoletani. La prima immagine che balena nella mia mente è quella dell'indescrivibile sguardo del principe Antonio De Curtis, il grande Totò, mentre porta alla bocca una manciata di spaghetti, in una famosa inquadratura ripresa da “Miseria e nobiltà”, trasposizione cinematografica della celebre commedia di Eduardo De Filippo, a sua volta tratta dal grande Scarpetta.

partenope-statuaPenso allora a una serata trascorsa anni fa in un famoso ristorante napoletano, in cui un amico volle farmi conoscere una specialità ittica locale: la corvina. È un pesce che vive nelle profondità del golfo, difficilissimo da catturare e dalle carni sode e saporite. La specialità di questo pesce è data dal fatto che possiede degli “otoliti”, ossicini dell'orecchio interno di forma circolare, molto grossi, che, a mo' di sonar, pare l'aiutino ad orientarsi nelle profondità marine. Questi ossicini, duri come pietre e di un particolare colore, sono una preda ambita dei giovani pescatori che li regalano alle loro innamorate per farne ciondoli per collanine e pietre per anelli. Non vi sembra unico tutto ciò? Il cibo che tocca le corde del cuore e diventa quasi poesia!

Un altro ricordo per me carissimo è legato alla memoria di un carissimo amico scomparso, un illustre magistrato 1531216968 94ba45dd45f0f9eb6eb96592cd9ee0ec37c1cce1-1531216394napoletano, uomo di grande simpatia e umanità. Tutte le estati, sul finire di agosto, aspettava con impazienza il raccolto di un particolare frutto, le “Pere Mast'Antuono”, per farne marmellata, la migliore che io abbia mai mangiato. Sapeva farla solo lui: ci metteva lo stesso impegno e la stessa cura che distinguevano le sue sentenze e i suoi scritti giuridici. La casa era inondata dal profumo dei frutti che si cuocevano lentamente borbottando in pentola e che presto sarebbero divenuti delizia per il palato. Un vero rito!

E non dimenticherò mai un gruppo di carissimi amici napoletani che, in occasione di una Fine d'Anno, vennero a trovarmi quando lavoravo a Parigi. Vollero portarmi un tegame di “genovese”, il ragù napoletano a base di carne e cipolla, sapendo di farmi felice. Purtroppo, uno sciopero dei trasporti nella capitale francese, li costrinse, l'ultima notte dell'anno, ad attraversare a piedi mezza città col tegame che emanava afrori e profumi da far impallidire qualsiasi soupe à l'oignon locale. Quasi una sfida tra diversi modi di glorificare la cipolla. Grandissimi napoletani, dal cuore immenso!

pasta con la genoveseSe per voi è forse un fatto normale essere invitati a cena da amici che vivono a Napoli e che hanno dimestichezza col cibo locale, per me fu una grande esperienza, qualche anno fa, sedere alla tavola di un altro grande professionista napoletano, e assaporare la calamarata più sensazionale che io abbia mai mangiato. Eravamo sì a Napoli, ma a cucinare quel piatto favoloso era stata la padrona di casa, una giovane e simpaticissima signora francese di Lione, a dimostrazione della profonda interconnessione che è sempre esistita ed esiste ancora tra la nostra cucina e quella d'Oltralpe.

Napoli, sotto le varie dominazioni, da quella angioina a quella aragonese e poi borbonica, era una vera capitale, paragonabile a Parigi, Vienna, San Pietroburgo. Le grandi famiglie francesi stabilitesi al seguito dei conquistatori di turno, adoravano dare grandi ricevimenti e per poter offrire ai loro ospiti piatti degni della grande cucina del loro Paese, inviavano a Parigi e a Versailles giovani cuochi perché apprendessero l'arte di cucinare alla francese. Ognuno di questi giovani, col suo bianco tocco in testa, era riconosciuto come un monsieur che, al suo ritorno a Napoli, diventava un monsù. Si deve molto a questi bravi giovani napoletani, pervasi da fantasia e da voglia di fare, che trasformarono tante preparazioni francesi in vere e proprie specialità partenopee.

Il babà, per esempio, creato da un cuoco in Polonia per il sovrano locale, venne esportato a Parigi come dono per la regina dei francesi, figlia di quel re polacco, e da lì i images-1monsù napoletani lo portarono a Napoli arricchendolo e migliorandolo fino a farlo diventare 'o babbà che tutti amiamo.

Lo stesso accadde per il riso, che a Napoli non era mai stato preso in considerazione se non come  sciacquabudella e cibo per ammalati. Sempre loro, i monsù, decisero che quell'anonimo cereale dovesse diventare qualcos'altro. E cominciarono ad utilizzarlo in tanti modi, a farne piatti elaborati, a condirlo con ragù di carne, piselli, pancetta, funghi, provola. sartu-di-riso1Provarono a valorizzarlo in ogni modo possibile, unendolo a polpettine di carne, salsiccia, uova sode, fegatini di pollo e poi infornandolo ricoperto da uno strato di pangrattato generosamente sparso su tutto: in francese sur tout che, detto alla napoletana, divenne “sartù”. Il famoso, gustosissimo, ineguagliabile “Sartù di riso”.

Potrei continuare così a parlarvi di tanti altri piatti celebri della cucina napoletana, dalle “mammarelle”, che altro non sono se non melanzane, ai “friarielli”, deliziose piccole cime di rapa, alla pastiera, dono della Dea Partenope ai cittadini del golfo, ai cibi in assoluto i più desiderati e consumati al mondo: gli spaghetti e la pizza!images

Ma ci vorrebbe tanto tempo e a questo punto, a voi come a me, forse è venuta voglia di sedersi a tavola, davanti al meraviglioso mare di Napoli, con quel profumo di cucina…

“Cameriere!”

Letto 345 volte Ultima modifica il Sabato, 25 Gennaio 2020
Vota questo articolo
(1 Vota)
Bepi Marzulli

Barese di nascita, studi superiori a Torino e Roma, la sua città di adozione, Bepi Marzulli è iscritto all'Albo dei Giornalisti dal 1977. Le origini familiari, radicate nell'imprenditiorialità di cinema e teatro, gli hanno consentito, giovane studente universitario, di accostarsi al mondo dell'editoria scrivendo numerosi soggetti e sceneggiature per la più importante casa editrice di fotoromanzi, la Lancio, di cui, anni dopo, è stato Direttore Generale. Ha lavorato per molti anni a Parigi, a capo della Rusconi France, dirigendo riviste di moda come Femme e Mariages, di arredamento, Décoration Internationale, e di archeologia come L'Archéologue e Archéologie Nouvelle

Tornato a lavorare in Italia, ha creato e dirige da oltre vent'anni Axioma, una società di outsourcing editoriale che produce periodici e contenuti giornalistici per Editori come Mondadori, Rizzoli Rcs, Cairo. Collabora con varie testate, scrivendo di vari argomenti tra cui enigmistica e gastronomia.

Assicurati di inserire (*) le informazioni necessarie ove indicato.
Codice HTML non è permesso.